Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO SECONDO
 
 Cortile rustico dinanzi ad un recinto, dove si custodiscono le fiere. Da una parte picciolo serraglio per un orso.
 
 SCENA PRIMA
 
 CRATE e NILO portando un libro
 
 CRATE
 Dove mai?... Là star voglio. Apri quell’uscio.
 NILO
 Un saggio ove stan gli orsi?
 CRATE
400Stanno anche gli orsi, ove star denno i saggi.
 NILO
 Picciola stanza! (Apre l’uscio del serraglio)
 CRATE
                                Io la fo grande; e come
 a Diogene una botte, ella a me basta.
 Or dammi ’l libro.
 NILO
                                    Prendi.
 (Egli così risparmierà l’affitto).
 CRATE
405Antistene, hai ragion. Bacio i tuoi detti. (Crate legge)
 NILO
 Antistene chi fu?
 CRATE
                                  Padre e maestro
 della cinica setta.
 NILO
 Tal nome, qual mestier. Sempre mordete.
 CRATE
 Taci e tu pure ascolta.
 NILO
410Ventre digiun poco il sapere apprezza.
 CRATE
 «O di senno o di laccio uom si provegga. (Legge)
 Meglio è un presto morir che un viver folle».
 NILO
 Se fosse ver, morir dovria gran gente.
 CRATE
 «Faccia di un vil giumento un buon destriero,
415chi grave peso ad uomo inetto appoggia».
 NILO
 Ed in camaleonte un bue trasformi,
 chi vuol tener senza mangiar gli schiavi.
 CRATE
 «Chi saggio esser desia, cerchi esser buono.
 Mai con malvagità vi fu sapere».
 NILO
420E a chi cerca bontà, come la insegni?
 CRATE
 «Imparar vuoi bontà? Quanto di male
 entrò nell’alma tua, pria disimpara;
 disponti a tollerar fatica e stento,
 a fuggir della vita le lusinghe,
425a nausear»... Ah, Nilo, ecco lo scoglio.
 «A nausear piaceri effemminati».
 NILO
 Una femmina appunto a noi qui viene.
 CRATE
 Una femmina? Nilo, serra, serra.
 NILO
 Ella è Ipparchia.
 CRATE
                                 E che vuol? Dille che parta,
430che per tormi al suo guardo
 mi tolsi a Tracia e in Asia venni.
 
 SCENA II
 
 IPPARCHIA e i suddetti
 
 IPPARCHIA
                                                             Ed io
 da Marona in Sidon per rivederti.
 CRATE
 Orben. Vedimi e va’. Già m’hai veduto. (Si leva e si affaccia all’uscio e poi vuol serrarlo)
 IPPARCHIA
 Ferma. Per rivederti e farti mio.
 CRATE
435L’etiope imbianchi. Io tuo? Crate è di Crate. (Prende il libro)
 IPPARCHIA
 Tanto rigido ancora?
 CRATE
 Grande Antistene! Ascolta. (Legge)
 «La bella è rischio e la deforme è pena».
 Delle mogli ei favella. Udisti? Or vanne. (Esce dal serraglio per discacciarla)
 IPPARCHIA
440Invano mi discacci.
 CRATE
 Ti scaccerà ben questo. (La minaccia col bastone)
 IPPARCHIA
 Tu m’insegnasti a tollerar. Percuoti.
 CRATE
 Tollera dunque il mio rifiuto e parti.
 IPPARCHIA
 Posso tutto soffrir, fuorché il lasciarti.
 NILO
445Guardati Ipparchia. Al can si arriccia il pelo.
 CRATE
 Troppo insolente sei.
 IPPARCHIA
                                         Sei troppo ingrato.
 Sì, ingrato al tuo sapere,
 che, s’egli è un ben, comunicar mel dei.
 NILO
 Senti filosofessa!
 CRATE
450Da me apprese a ben dir. Promisi a’ tuoi
 di non udirti; e temo il mio malanno.
 IPPARCHIA
 Di chi temi? De’ miei? Lontani sono.
 Di me? Sarò tua serva.
 Di te? Saggio sei troppo.
 CRATE
455Non lascio d’esser uom per esser saggio.
 Sento anch’io... (Crate, a segno). O vanne o vado.
 IPPARCHIA
 Ch’io vada? Vieni. Te n’andrai? Ti seguo.
 CRATE
 Qui non mi seguirai. Questo è il mio albergo.
 Io vi capisco appena. Entra, se puoi. (Entra nel serraglio e ne chiude l’uscio)
 IPPARCHIA
460Ed io su questa soglia...
 CRATE
 Nilo, scaccia costei.
 NILO
 Deh, più non irritarlo.
 IPPARCHIA
 Crate, almeno... Oh fierezza! Almeno, o Crate...
 Permetti... Andrò, crudel; ma poiché tutta (Va da una parte e dall’altra del serraglio e poi all’uscio e Crate lo serra ad essa in faccia)
465di vincerti la speme a me vien tolta,
 l’amor mio, che qui resta, almeno ascolta.
 
    Sei del mio core il re;
 e qui prostrato a te,
 per me già disperata,
470il mio costante amor ti parlerà.
 
    Su questa soglia amata,
 ch’è reggia del mio bene,
 l’udrai delle mie pene
 chiederti la mercede o la pietà.
 
 SCENA III
 
 CRATE e NILO
 
 NILO
475Apri. Ipparchia è partita.
 CRATE
 Veggiam. Lodato il ciel. Su questa soglia (Apre l’uscio ed esce del serraglio)
 or calpesto il suo amor.
 NILO
                                             Quegli è Alessandro.
 CRATE
 Quegli? Al mio posto e al libro mio ritorno. (Entra di novo)
 NILO
 Questo novo disprezzo
480lo può irritar. Dal rischio mio mi cavo.
 Pazzo è padrone. Abbia cervel lo schiavo. (Si parte)
 
 SCENA IV
 
 CRATE sedente, EFESTIONE e poi ALESSANDRO con seguito
 
 EFESTIONE
 Alessandro a te viene, il tuo sovrano.
 CRATE
 Con Antistene io sono, il mio maestro.
 EFESTIONE
 Sorgi e rendigli onore.
 CRATE
485Non lo farei, se fossi un pesce; e meno
 lo farò, essendo Crate.
 ALESSANDRO
 E chi sei tu che al giunger di Alessandro
 non ti movi e non temi?
 CRATE
 Dimmi, sei cosa buona o sei malvagia?
 ALESSANDRO
490Mi pregio di bontà, più che di grado.
 CRATE
 E se buona sei tu, perché temerti?
 EFESTIONE
 Perché può a suo voler farti morire.
 CRATE
 Gran poter! Picciol sasso,
 lieve morso, un aculeo, una cicuta
495fece altrui, può a me far ciò che minacci.
 EFESTIONE
 E può darti ricchezze, onori e gradi.
 CRATE
 Cercai d’esser qual son, per non averne.
 ALESSANDRO
 Non è Tebe tua patria?
 CRATE
 Io patria più non ho. Tu l’hai distrutta.
 ALESSANDRO
500Farò che ella risorga.
 CRATE
 A qual fin? Perché venga
 a distruggerla un altro?
 ALESSANDRO
 Il tuo viver meschin mi fa pietade.
 CRATE
 Vorrei poter dal fonte,
505come n’ho la bevanda, averne il cibo.
 Mira. Olive, lupini e questi tozzi
 di muffo pan fan la mia mensa e lauta.
 ALESSANDRO
 Orsù. Vo’ che per te sieno anche i vasti
 tesori di Alessandro.
 CRATE
510I tesori de’ grandi
 son come i fichi di selvagge piante
 che servono di pasto a’ corbi e a’ nibbi.
 ALESSANDRO
 Di tanti, che ho d’intorno al regio fianco,
 troppo giudichi a torto.
 CRATE
515Oh, se per poco il tuo destin cangiasse!
 Credil, di tanti amici
 molti ne conta il re, pochi Alessandro.
 EFESTIONE
 Can, troppo latri e mordi.
 ALESSANDRO
 Cinica libertà nulla ti offenda. (Ad Efestione)
520Resta in mia corte.
 CRATE
                                     Il tuo è comando o prego?
 EFESTIONE
 Non prega un re.
 CRATE
                                  Né Crate serve.
 ALESSANDRO
                                                                A Crate
 chiedo favor. Rimanti.
 CRATE
 Sì, resterò. Senza timor né spene
 osserverò, quasi da rocca eccelsa,
525in sì torbido mare
 le sirti ingorde, le nembose stelle,
 i vortici, i naufragi e le procelle.
 
    Vedrò chi volge il legno ad ogni vento,
 chi gitta le sue merci e non gli giova,
530chi a galla sta sul mar, chi resta assorto,
 
    chi piange, chi dispera, chi è contento,
 chi respinto è dall’onde e perde terra,
 chi un cadavere afferra e giunge al porto.
 
 SCENA V
 
 ALESSANDRO, EFESTIONE e poi STRATONE
 
 ALESSANDRO
 In vario genio, compiacente e altero,
535pari è il senno ed il merto;
 che risolver non so.
 EFESTIONE
                                      Crate abbia stima.
 Tesori abbia Aristippo.
 ALESSANDRO
                                             Io del più saggio
 vo’ farne un re.
 EFESTIONE
                               Puoi farne anche il più pazzo.
 Molti cangiar vid’io sorte e costumi,
540acquistar dignitadi e perder senno.
 ALESSANDRO
 Viene Straton.
 STRATONE
                              Su l’ali
 la fama mi recò nuove sciagure.
 ALESSANDRO
 E che?
 STRATONE
                Le nozze disuguali. Sposa
 a filosofo vil figlia reale?
 ALESSANDRO
545Vil chi ha saper? Vil chi Alessandro elegge?
 Con tal legge al tuo sangue io rendo un soglio,
 di cui indegno ti fece odio ed orgoglio.
 
    Vinto nimico altero,
 tuo vincitor, tuo re,
550uso pietà con te.
 
    Se in tuo poter foss’io,
 tu più spietato e rio
 non useresti, il so,
 questa pietà con me.
 
 SCENA VI
 
 STRATONE, poi ADDOLONIMO
 
 STRATONE
555Ben taceste, ire mie. Sul labbro uscendo,
 potevate tradir la mia vendetta.
 ADDOLONIMO
 Che mi chiede il mio re?
 STRATONE
                                                Tuo re son io
 anche dopo i miei ceppi?
 ADDOLONIMO
 Dal sacro giuramento
560che diedi a te, quando occupasti ’l trono,
 or non mi assolve il tuo destino avverso.
 STRATONE
 Il tuo re la tua patria a te confida
 e da te spera libertà e salvezza.
 Addolonimo, hai cor per sì grande opra?
 ADDOLONIMO
565Giusta ella sia, cor per trattarla io t’offro.
 STRATONE
 Del cimento non fia
 né la gloria minor né la mercede.
 ADDOLONIMO
 Se mi move ragion, premio non cerco.
 STRATONE
 Mio genero e mio erede,
570due gran beni otterrai, Fenicia e il regno.
 ADDOLONIMO
 La grandezza del prezzo
 faria ad altri lusinga, a me fa tema.
 La mia innocenza o la mia fé si tenta.
 STRATONE
 Rispetto entrambe. Al tuo valor sol mostro
575come renderti illustre.
 ADDOLONIMO
                                            E che far deggio?
 STRATONE
 Alessandro svenar. Nel tuo giardino
 solo e sovente in sul meriggio ei viene
 a cercar le fresch’ombre e i dolci sonni.
 Là con man forte, inosservato, un colpo
580osa a comun riposo, a tua grandezza.
 Su, Addolonimo, ardire.
 ADDOLONIMO
                                               Oimè, che intesi!
 Così misero io son, sì vil son io,
 fino ad esser eletto
 di sì orribil misfatto empio ministro?
 STRATONE
585Misfatto il tor di vita un rio tiranno?
 Hai pietà di Alessandro?
 Non del tuo re? Non di Fenicia? Attendi;
 e per barbaro cenno
 la misera vedrai sposa d’uom vile,
590di Aristippo o di Crate.
 ADDOLONIMO
 Oh dio! Tutto è sciagura;
 ma se a questi e più gravi orridi mali
 non v’è, fuor che la colpa, altro riparo,
 innocenza si salvi
595e del resto la cura al ciel si lasci.
 STRATONE
 No, si lasci a Straton. Tu ne sarai
 spettatore ozioso.
 Già sai solo il mio cor. Vanne. Tradisci
 il padre di Fenicia; io vi consento.
600Forse a chi par gran colpa una vendetta,
 parrà nobile impresa un tradimento.
 
 SCENA VII
 
 FENICIA e i suddetti
 
 FENICIA
 Quale strano imeneo da legge iniqua
 mi si prescrive, o padre?
 STRATONE
 Vedi chi può troncarne i lacci indegni.
 FENICIA
605Addolonimo? E il nega?
 ADDOLONIMO
 Così vuol mia sventura.
 STRATONE
                                              Odine il prezzo,
 le tue nozze e il mio regno.
 FENICIA
                                                   E lo rifiuta?
 ADDOLONIMO
 Quando è virtude, anche il rifiuto è merto.
 STRATONE
 Seco resta. Il suo bene a lui consiglia.
610O ceda e a me sia erede e a te sia sposo;
 o nimica col padre abbia la figlia.
 
    Irresoluto ancor? O ardisci o taci. (Ad Addolonimo)
 E tu in quel dubbio cor (A Fenicia)
 fa’ che virtù e dover
615o sieno più fedeli o sien più audaci.
 
 SCENA VIII
 
 FENICIA e ADDOLONIMO
 
 FENICIA
 E fia vero, Addolonimo? Esser posso
 tuo acquisto e tuo possesso?
 E la man tu ritiri e mi rifiuti?
 Che tu mi amassi invan mi lusingai;
620e con sì dolce inganno,
 ahi, quanto, il dirò pur, quanto ti amai!
 ADDOLONIMO
 Oh dio! Non tormentarmi.
 FENICIA
 Che? Mi vuoi tua nimica? Udisti ’l padre;
 e sai la mia sciagura.
625Vuoi che di Crate io sia? Che di Aristippo?
 Toglimi al nodo indegno.
 Tua fammi. Ogni cimento
 per te mi saria leve.
 Tu per me nulla puoi? Qual dura legge
630ti si prescrive? Ah, se mi amassi, ingrato...
 ADDOLONIMO
 Fenicia, non mi dir che sventurato.
 
    Io ti perdo e del tuo amore
 son più degno in rifiutarti.
 
    Tu non vedi le mie pene
635e tacerle a me conviene
 per timor di più attristarti.
 
 SCENA IX
 
 FENICIA, ARGENE, poi ARISTIPPO
 
 ARGENE
 Fenicia, ancor sì mesta?
 FENICIA
 Chi non gli prova eguali,
 non intende i miei mali o non gli crede.
 ARGENE
640Li credo e n’ho pietà, che se nel duolo
 compagna non ti son, son tua germana.
 FENICIA
 Me vuol sposa Alessandro
 di Aristippo o di Crate.
 ARGENE
 Due pazzi in grado ugual, benché diversi.
 FENICIA
645E Addolonimo, oh dio! che al fatal rischio
 involarmi potria, lo soffre e tace.
 ARGENE
 Vedi, viene Aristippo.
 ARISTIPPO
 A te, bella Fenicia...
 FENICIA
                                       Ond’è che bella
 solo adesso mi chiami?
 ARISTIPPO
650Sin qui del tuo sapere, ora in te lodo
 di tua bellezza i vanti.
 ARGENE
 (I filosofi ancor lodan le belle).
 FENICIA
 Eh, sii meco qual prima. In me dell’alma,
 e non già del sembiante, i pregi onora.
 ARISTIPPO
655Si parli all’alma. Io spero
 che quanto per lei feci essa rammenti.
 FENICIA
 Quanto sa, quanto è illustre,
 a’ tuoi lumi sol dessi e a’ tuoi precetti.
 ARISTIPPO
 Grata quindi la spero all’opra mia.
 ARGENE
660(L’interesse studiò filosofia).
 FENICIA
 Ingrata ad Aristippo esser potrei?
 ARISTIPPO
 Or se fosse in tua possa
 la mia felicità, di’, la faresti?
 FENICIA
 (L’intendo; ma si finga).
 ARGENE
665In bocca di costui sta la lusinga. (A Fenicia)
 FENICIA
 Posso a’ tuoi benefizi
 render qualche mercé? Pronta son io.
 ARISTIPPO
 Basta così. Me di Sidone al regno
 chiama il grande Alessandro.
 FENICIA
                                                       E tu l’ascolti?
 ARISTIPPO
670L’ascolta la virtù ma non il fasto.
 FENICIA
 Le grandezze detesti e poi le cerchi?
 ARISTIPPO
 Non le cerco; ma offerte, io non le abborro.
 FENICIA
 Il saggio di Cirene aspira a un trono?
 ARISTIPPO
 Bramo il ben de’ vassalli, anzi che il mio.
 ARGENE
675(Senti virtù mentita e falso zelo).
 FENICIA
 Va’ dunque e regna.
 ARISTIPPO
                                        Io regnerò, se vuoi.
 FENICIA
 Come? Non ben intendo.
 ARISTIPPO
 Del novo re la sposa in te si vuole.
 FENICIA
 Io sposa tua? Le faci
680d’imeneo non accende altri che amore.
 ARISTIPPO
 E spesso anche ragion. Me tu non ami?
 FENICIA
 Amo in te quel maestro
 che di fuggire amor sempre mi disse.
 ARISTIPPO
 Dissi di nol cercar, non di fuggirlo.
 FENICIA
685Dunque amor per me senti?
 ARISTIPPO
 Non è amor che mi move; è sol desire
 di far te meco in trono ancor più saggia.
 FENICIA
 Teco saggia nel trono? Un re marito
 che amor per me non ha? Sarei ben folle.
 ARISTIPPO
690Pretesti di ripulse!
 Di’ ancor ch’io re non nacqui.
 Ma che? Dottrina ogni grandezza adegua.
 Che barbaro son io ma il son di cielo,
 non di costumi. Africa porta i mostri
695ma i filosofi ancora; e in me tu il vedi.
 FENICIA
 È vero; e se nel trono
 con la filosofia te vuol la sorte,
 io ne ho piacer. Così regnar potrai,
 se con Fenicia, no, non regnerai.
 ARISTIPPO
700Gratitudine è questa?
 FENICIA
 Di Aristippo al sapere,
 non all’orgoglio suo grata mi dissi.
 ARISTIPPO
 Alessandro qui regna;
 e avrò dal sua favor Fenicia e soglio,
 FENICIA
705Alessandro non temo; e te non voglio.
 ARISTIPPO
 
    Saggia sei. Se me non ami,
 nel mio affetto e nel mio dono,
 il tuo ben dovresti amar.
 
    Quel che orgoglio in me tu chiami
710non è amor, ch’io porti al trono,
 ma un desio del tuo regnar.
 
 SCENA X
 
 FENICIA e ARGENE
 
 FENICIA
 A richiesta sì ardita arsi di sdegno.
 ARGENE
 E a Crate che dirai?
 FENICIA
 Quale mi udì Aristippo, ei pure udrammi.
 ARGENE
715E qual frutto ne speri? Io no. Se avessi
 quello ch’hai tu nel cor...
 FENICIA
                                               Di’, che faresti?
 ARGENE
 Tu lo puoi far. Anzi che sdegno e pena,
 piacer prendine e gioco.
 Sì sì, lusinga entrambi, entrambi alletta,
720tanto che in lor possa far breccia amore.
 Questi saggi orgogliosi allor vedrai
 languir peggio d’ogni altro; e perché poi
 non han d’amor gentil l’arte maestra,
 esposti al comun riso,
725perderanno l’applauso
 e il favor di Alessandro; e allor darassi
 al trono altro regnante, a te altro sposo.
 FENICIA
 Gentil sagacità! Così far voglio.
 ARGENE
 Fallo, deh, fallo; e intanto,
730se Addolonimo piace agli occhi tuoi,
 d’esser lieta in amor sperar tu puoi.
 
    Io nol so; ma dir io sento
 che la speme è l’alimento
 dell’amor e dell’amar.
 
735   Né il saprò, perché mi par
 ch’abbia un’aria di dolor,
 quando lungo è lo sperar.
 
 SCENA XI
 
 FENICIA
 
 FENICIA
 Tu, Addolonimo, sei
 la maggior di mie pene. Oh me felice,
740se per conforto almen del dolor mio
 potessi dir che son tua pena anch’io!
 
    Vorrei mirar sul trono
 l’oggetto del mio amor;
 ed io nel suo bel cor
745regnar vorrei.
 
    Ma, oh dio, traditi sono
 dal mio crudel timor
 e più dal suo tacer
 i voti miei.
 
 SCENA XII
 
 NILO e CALANDRA
 
 NILO
750Vanne, Calandra, va’. Perduto io sono,
 se avvien che il mio padron teco mi vegga.
 CALANDRA
 Tanto timor di Crate?
 NILO
 Non già di lui, del legno suo pavento.
 Per pratica fatal, so quanto ei pesa.
 CALANDRA
755Il vederti con me saria tua colpa?
 NILO
 Vanne, ten prego. Ogni ombra a me par Crate.
 CALANDRA
 Eh, non temer. S’anche giungesse, io credo
 che al sesso di Calandra avria rispetto.
 NILO
 No, che il tuo sesso appunto
760fa la sua antipatia, fa la sua bile.
 CALANDRA
 Crate è un brutale, un indiscreto, un vile.
 NILO
 È vero. Tu hai ragione.
 CALANDRA
 E che sa dire e che può dir di noi?
 NILO
 Oh! Tante cose e tante.
 CALANDRA
765Ma pur?
 NILO
                   Dirle non vo’. Dice che siete
 lusinghiere, mendaci e ingannatrici.
 Se belle, vanità v’empie ed orgoglio;
 se brutte... Quel ch’ei dice io dir non deggio.
 CALANDRA
 Tanto dice l’indegno?
 NILO
                                          E molto peggio.
 CALANDRA
770Ei mente per la gola.
 NILO
                                         E dice ancora
 che l’incostanza il vostro cor governa,
 che guida l’interesse i vostri affetti.
 E che voi...
 CALANDRA
                       Taci. Uom ciò dir puote? Or vanne.
 Fidati di costoro. A certe occhiate
775tenere ed infocate, onde mirarmi
 spesso in giardino ei suole, io lo credea
 del nostro sesso adorator gentile.
 NILO
 Crate gentile? Oibò. Le donne egli ama,
 come le ama ogni altr’uom; ma in apparenza
780ne parla mal. Chi vuol comprar disprezza.
 CALANDRA
 E tu a lui credi?
 NILO
                                No. Del vostro sesso
 Nilo, più che di Crate, è servo e schiavo.
 So che tutte voi siete
 innocenza, virtù, senno e modestia.
 CALANDRA
785Senti, Crate è una bestia. Un uom tu sei.
 E teco ho simpatia. Nilo, m’intendi?
 NILO
 E a genio tu mi vai ma...
 CALANDRA
                                               Parliam chiaro.
 Potresti amar, s’intende
 di platonico amore, amar Calandra?
 NILO
790Potrei; ma dove è fame, amor non regna.
 CALANDRA
 Meschin! Fame tu soffri?
 NILO
                                                 In grado estremo.
 CALANDRA
 Avrai, se meco vieni, onde cibarti.
 NILO
 Verrei; ma Crate e il suo bastone io temo.
 CALANDRA
 
    Nilo, andiamo. Eh sì sì sì.
795Vieni, vieni. Vi sarà
 lieto pranzo e puro amor.
 
    Se la fame ti tormenta,
 a digiun perché vuoi star?
 
 NILO
 
    Va’, Calandra. Oh no no no.
800L’appetito dice va’;
 ma mi ferma il mio timor.
 
    Già mi par ch’io vegga e senta
 quell’infauste bastonate.
 
 A DUE
 
    Maledetta sia di Crate
805la bestial filosofia.
 
 CALANDRA
 
    Senza te partir non posso,
 perché a me sei troppo amabile.
 Tu non m’ami, o Nilo ingrato.
 
 NILO
 
    Già mi par di aver adosso
810quel baston sì formidabile.
 Troppo sono spaventato.
 
 A DUE
 
    Oh che genio sfortunato!
 Che infelice simpatia!
 
 Il fine dell’atto secondo